19 giugno 2016

Atterrite queste popolazioni, di Eugenio De Simone



Il generale Gaetano Sacchi fu nominato nel 1866 comandante della Divisione militare di Catanzaro, e incaricato nel 1868 per la repressione del brigantaggio nelle Calabrie. Fu nominato senatore nel 1876. Era nato a Pavia nel 1824, morì a Roma nel 1886.
     Il colonnello Bernardino Milon nel 1868 fu incaricato della repressione del brigantaggio in Calabria, alle dipendenze del generale Sacchi. Militare borbonico era transitato nel 1861 nell’esercito piemontese. Fu anche Ministro della Guerra.
     Fra Milon e Sacchi, negli anni 1868-1870, vi fu una fitta corrispondenza epistolare, tanto che si potrebbe dire fossero dei grafomani, nella quale vengono descritte le misure prese nella repressione del brigantaggio.
     Il Milon rivendica misure di estremo rigore per ottenere il risultato di atterrire le popolazioni meridionali. Fra queste misure primeggiano le fucilazioni di briganti, e manutengoli arrestati, in seguito a tentate fughe agevolate dalla truppa.
     Nel libro le lettere raccolte sono in totale duecentoquarantasette: un centinaio di lettere di Milon a Sacchi, una cinquantina di risposte di Sacchi a Milon, varie lettere di militari e deputati. Particolare interesse suscitano le lettere di Enea Pasolini a parenti vari; Pasolini era un sottotenente di cavalleria, inviato in servizio in Calabria, che dimostra una qualche compassione per i briganti.
     È stata trascritta la corrispondenza privata, sul brigantaggio, tra Sacchi e Milon, che si trova nelle carte di Gaetano Sacchi acquisite nel 1905 dalla biblioteca civica “Carlo Bonetta” di Pavia.
     Una prima edizione del libro era avvenuta, nel 1994, presso l’Editoriale Progetto 2000 di Cosenza.
     Nel 1868-1870, secondo la maggioranza dei libri di storia, il brigantaggio dovrebbe volgere alla fine. Ed invece dal presente carteggio risulta che in Calabria esso era molto attivo e diffuso; anche se numericamente i componenti delle singole bande erano piuttosto pochi.
     Il capobrigante più conosciuto e famoso, di quell’epoca in Calabria, fu Domenico Straface, detto Palma. Nato a Longobucco (Cosenza) nel 1829, si diede alla campagna divenendo brigante nell’inverno del 1859. Incarnò la figura dell’eroe romantico, e venne considerato il Robin Hood delle Calabrie. Godeva di una vasta rete di manutengoli, anche del ceto borghese, che fornivano armi, cibo, indumenti, informazioni. Operò ai tempi dei “macellai piemontesi” Fumel (personificazione secondo alcuni del terrorismo), Pallavicini, Sacchi, Milon. Venne ucciso a tradimento il 12 luglio 1869. Per vie ordinarie Palma era imprendibile; cinquecento uomini non erano stati capaci di prenderlo, mentre a Zinga (frazione di Crotone) era con solo quattro briganti.
     Noi, durante la descrizione degli atroci soprusi dei piemontesi, parteggiamo per Palma. Dopo morto, la sua testa con una sciabola poco tagliente venne staccata dal collo e posta in un tascapane. La sua testa, scrive Milon a Sacchi, «mi giunse ieri al giorno verso le 6 e mezzo, è una figura piuttosto distinta e somigliante ad un fabbricante di birra inglese; la testa l’ho fatta mettere in un vaso di cristallo ripieno di spirito, e chieggo a lei se vuole che la porti costì per farla imbalsamare. Si sono fatte delle fotografie della testa, e se riescono bene gliene spedirò un certo numero».
     Della morte del Palma si danno due versioni: una ufficiale e l’altra reale. Nella prima si dice che fu ucciso dai bersaglieri; nella seconda si narra che ad uccidere il Palma sia stato un suo compare con un colpo secco di rasoio mentre gli faceva la barba.
     Sacchi, nel suo sunto storico del brigantaggio, sostiene che esso sia un fenomeno di natura sociale e psicologica, piuttosto che di natura politica o criminale. Nei briganti, sostiene, si personifica la protesta incessante dei poveri verso i ricchi. I poveri vogliono vendicarsi della umiliazione estrema in cui li tengono i ricchi. Il brigantaggio sarebbe una risorsa per un gran numero di abitanti delle Calabrie. Il manutengolismo poi costituisce il supporto fondamentale che sorregge il brigantaggio; esso è di tre tipi: quello parentale con i briganti, quello che dà appoggio per lucro, ed infine quello che fa dare appoggio per paura.
     Il brigantaggio per un procuratore del Re «è una vera setta costituita per rovesciare l’ordine, per conseguire in fatto il comunismo dei beni».
     Dalle lettere viene fuori anche la lotta esistente fra prefettura ed esercito, la lotta fra parlamento ed esercito, oltre quella esistente all’interno dello stesso esercito piemontese.
     Palese è anche l’anticlericalismo. «L’altro giorno – scrive Enea Pasolini – abbiamo fatto fucilare un prete, e solo per le parole che ha dette prima di morire, avrebbe meritato di essere impiccato dieci volte».
     Una chiara contradizione esiste fra laddove si scrive che la popolazione meridionale era contenta quando veniva ucciso un brigante e laddove si dice che il popolo era per natura un fanatico ammiratore dei briganti, considerandoli come suoi eroi e proprio vanto.
     Chiudo questa recensione con quanto scrisse il prefetto di Cosenza a Sacchi il 25 luglio 1870; concordo con il giudizio che dà del governo di allora. «I nostri nipoti studieranno con stupore il fenomeno, che un decennio di governo nazionale sia stato un decennio di debolezze, di perplessità, di empirismo, e rispetto a queste provincie starei per dire di completo abbandono di ogni arte di governare».
     Il libro ha la prefazione di Antonio Ciano.

Eugenio De Simone, Atterrite queste popolazioni. La repressione del brigantaggio nel carteggio privato Sacchi-Milon, 1868-1870, Magenes Editoriale, Milano 2016, pp. 362, € 16,00

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