9 marzo 2016

Il Sud dalla Borbonia felix al carcere di Fenestrelle, di Gennaro De Crescenzo



Il libro è una risposta pacata e puntigliosa alle tesi presenti in altri due libri scritti da professori universitari, quello di Renata De Lorenzo sulla Borbonia felix e quello di Alessandro Barbero sui prigionieri dei Savoia.
     Essi, scrive Lorenzo Del Boca nella prefazione, sono stati trattati da Gennaro De Crescenzo come i pifferi di montagna che andarono per suonare e vennero suonati. Le loro tesi e affermazioni sono state sminuzzate, dimostrandone l’infondatezza, la parzialità e la partigianeria.
     La visione manichea del Risorgimento glorioso non regge più. La storia “vera”, e non una leggenda tramandata per sentito dire, gli Alianello, i Pedìo, i Molfese, gli Zitara hanno cominciato a raccontarla.
     Né, scrive De Crescenzo, «si può accettare che qualcuno crei ostacoli a questo inarrestabile processo di riappropriazione di verità storica, memoria e radici necessario alle nostre future, fiere, consapevoli e finalmente adeguate classi dirigenti».
     Il movimento neoborbonico, del quale Gennaro De Crescenzo è presidente, e tanti veri meridionalisti non vivono di nostalgia e non sperano nel ritorno di un re, ma vogliono ricostruire la memoria storica e preparare le future classi dirigenti, che facciano veramente gli interessi del Sud.
     Gli storici accademici, dei quali Barbero e la De Lorenzo sono degni rappresentanti, ritenendo di essere loro i depositari della verità, irridono gli storici irregolari e si sentono autorizzati a ripetere le tradizionali falsità, senza portare una almeno sufficiente documentazione (cosa peraltro impossibile).
     Ma nel mondo accademico vi sono sempre più studiosi che si avvicinano alle tesi degli storici irregolari. Il prof. Eugenio Di Rienzo, per esempio, riconosce il grande supporto britannico nell’abbattimento del Regno delle Due Sicilie. Solo ipotesi, dicono gli storici accademici. Ma gli storici irregolari ritengono che quella di Di Rienzo sia «una tesi dimostrata e documentata e per giunta contestualizzata sincronicamente e diacronicamente ed è una tesi che smantella gran parte delle storie e dei miti garibaldini, risorgimentali e antiborbonici».
     Altro motivo di irrisione da parte degli storici accademici è l’affermazione che gli storici irregolari fanno dei primati esistenti nel Regno delle Due Sicilie, rispetto agli altri Stati esistenti in Italia al momento dell’unificazione. Ma Vito Tanzi (del Fondo Monetario Internazionale), in suoi documentatissimi studi, «denuncia con chiarezza e dati la situazione preunitaria fallimentare piemontese confrontandola con quella positiva delle Due Sicilie»; Stéphanie Collet (dell’Università di Bruxelles) sostiene che, all’atto dell’unificazione e dal punto di vista finanziario, le Due Sicilie erano come la Germania di oggi; i prof. Fenoaltea e Ciccarelli (per la Banca d’Italia) sostengono che nel 1860 l’industrializzazione nelle Due Sicilie era pari e, in alcune aree, superiore a molte aree del centro-nord; lo stesso De Crescenzo, presso il fondo Ministero Agricoltura Industria e Commercio, ha verificato che nel Mezzogiorno continentale esistevano oltre 5.000 fabbriche.
     Due temi poi sono ricorrenti nella storiografia ufficiale: quello della ferocia delle repressioni borboniche e quello dell’analfabetismo delle popolazioni meridionali. Per confutare il primo basta riferire che, dopo la rivoluzione del 1848, non furono eseguite condanne a morte nel Regno delle Due Sicilie (eccetto quella di Agesilao Milano attentatore di Ferdinando II), mentre nel “civilissimo” Piemonte, nel solo periodo 1851-1855, vi furono 113 esecuzioni. Per quanto riguarda il tema del Sud “analfabeta”, nessuno storico ufficiale mette in risalto la parzialità dei dati (i documenti originali sono da anni spariti) e la scarsa attendibilità di quel censimento realizzato in pieno caos amministrativo; un dato però è certo: nelle università duosiciliane vi erano 10.528 iscritti, mentre nel resto d’Italia gli iscritti erano complessivamente 5.203, «e questi dati non possono che essere il frutto evidente di una scolarizzazione oggettiva e diffusa»; quando poi le scuole del Sud verranno chiuse dai piemontesi per oltre un decennio, è ovvio che le percentuali degli analfabeti qui aumenteranno.
     Altro tema molto discusso dagli storici accademici, sminuendolo, è quello del Brigantaggio; ma esso ebbe una grande incidenza nella guerra contro il Regno delle Due Sicilie se furono necessari oltre 200.000 soldati per sconfiggerlo. La rivolta dei briganti, secondo De Crescenzo, assunse chiare connotazioni di carattere politico-legittimistico prevalenti su tutte le altre connotazioni. Questa repressione violenta e feroce contro i briganti e contro le popolazioni del Sud durò oltre dieci anni; non è logica la censura operata da parte della storiografia ufficiale, che ammette che queste rivolte furono “anche” politiche “ma solo fino al 1865”, divenendo dopo questo anno delinquenza comune.
     Non regge poi l’affermazione degli storici ufficiali del grande contributo che i meridionali avrebbero dato al processo di unificazione. Di quali consensi parliamo, si chiede tra l’altro De Crescenzo, se la stessa De Lorenzo scrive che 71 su 81 sedi vescovili erano vacanti per le persecuzioni garibaldino-sabaude?
     Ed ancora prima del 1860 dal Regno delle Due Sicilie non partiva nessuno, mentre altrove nel resto dell’Italia e dell’Europa si emigrava; l’emigrazione dal Sud cominciò dopo quell’anno.
     La seconda parte del libro di De Crescenzo è dedicato al “genocidio” dei soldati e delle popolazioni meridionali all’indomani del 1860. Vengono controbattute sia le affermazioni presenti nel libro di Barbero che quelle fatte dallo stesso nel confronto di Bari con De Crescenzo il 5 dicembre 2012, in occasione della presentazione del libro I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle di Alessandro Barbero presso la libreria Laterza (a quell’incontro io partecipai).
     Vengono contestati i numeri bassissimi dei soldati napoletani che secondo Barbero furono deportati e di quelli che morirono nel carcere di Fenestrelle, vicino Torino. Mentre De Crescenzo ritiene, documentandolo, che furono circa 60.000 i soldati meridionali deportati. Barbero ha visto i documenti di pochissimi archivi e non ha visitato nessun archivio meridionale e napoletano. Non è mai possibile non considerare il ruolo e l’importanza delle fonti dell’opposizione se si vuole un quadro completo ed esauriente di una situazione storica.
     Mi piace chiudere questa recensione con delle frasi del libro Terroni di Pino Aprile, che De Crescenzo riporta nel suo libro: l’unificazione portò al Sud “fucilazioni in massa, fosse comuni, paesi che bruciavano, profughi in marcia o campi di concentramento e sterminio in Europa… Io non sapevo che i piemontesi fecero al Sud quello che i nazisti fecero a Marzabotto. Ma tante volte, per anni”.
Rocco Biondi

Gennaro De Crescenzo, Il Sud dalla Borbonia felix al carcere di Fenestrelle, perché non sempre la storia è come ce la raccontano, prefazione di Lorenzo Del Boca, Magenes Editoriale, Milano 2014, pp. 150, € 12,00

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