24 luglio 2011

Memento Domine, di Dora Liguori


Memento Domine - Ricordati, o Signore”, è l'ultima preghiera della baronessa Argenzia prima di morire per chiedere la salvezza della sua anima, ma è anche l'invocazione del notaio Gaudieri, marito della baronessa, affinché finalmente venga fatta giustizia di quello che di feroce è stato fatto ai meridionali nel nome dell'unità d'Italia. Accesa borbonica lei, liberale pro-Savoia lui. Ma con il passare degli anni pian piano tramontano le illusioni del notaio. Con la seguente riflessione accolse la notizia della morte di Garibaldi: «Più vado avanti e più penso che era meglio se restava a casa sua, senza venirci a liberare. Quello che c'è stato fatto non te lo potevi aspettare manco dalle bestie feroci; ci hanno sbranato e nessuno ancora viene a rendercene conto».
Il romanzo storico di Dora Liguori ha come teatro degli avvenimenti i luoghi tra la Certosa di Padula e Potenza.
Il libro è introdotto da un'ampia sintesi del quadro storico di riferimento. Nel gennaio 1859 Vittorio Emanuele II di Savoia, re del Piemonte, in una seduta del parlamento torinese affermava di aver udito “un grido di dolore” proveniente dal meridione, che chiedeva la liberazione. Pura retorica, per giustificare il progetto di annessione per appropriarsi dei beni del ricco meridione; progetto spalleggiato dall'Inghilterra che mirava ad avere un affaccio privilegiato sul Mediterraneo. La massoneria inglese aiutò e finanziò il progetto. Cavour, Mazzini e Garibaldi si impegnarono per unire chi non aveva mai chiesto di essere unito. Le imprese di Garibaldi furono facilitate dall'acquistato tradimento dei generali borbonici, dalla collaborazione della mafia siciliana, dai contadini ai quali era stata promessa la terra. Salvo poi a sparare addosso a questi ultimi che la terra la rivendicavano veramente.
Il re Borbone Francesco II è costretto ad andare in esilio. Nascono i Comitati che si prefiggono di riportarlo sul trono di Napoli. Soldati del disciolto esercito borbonico e briganti (insorgenti, resistenti) danno vita alla guerriglia armata contro l'esercito piemontese invasore. Ai capibriganti indigeni si tenta di affiancare esperti generali stranieri venuti in soccorso dei Borbone. A Carmine Crocco Donatelli, capobrigante genialissimo per furbizia, strategia e capacità organizzative, viene affiancato il generale spagnolo José Borges. Insieme ottengono vari successi militari contro i piemontesi. Ma per l'inspiegabile rinuncia di Crocco non tenteranno la programmata conquista della città di Potenza. Borges viene preso e fucilato a Tagliacozzo. Quella dei briganti non è una lotta di delinquenti ma una vera guerra di popolo che reclamava il diritto alla propria indipendenza. Ma persero. Ne furono uccisi un numero spaventoso; si calcola che l'ottanta per cento degli uomini validi del Sud furono eliminati: un vero e proprio genocidio.
Il libro della Liguori non vuole essere un saggio storico, ma solo la rappresentazione di una storia di tradizione orale consumatasi nell'arco di circa tre mesi, nell'autunno del 1861.
Il giovane capitano spagnolo Aldrigo Seguerto, ingegnere, viene mandato dalla regina Isabella di Spagna nell'ex Regno delle Due Sicilie assumendo nome e vesti di un prete gesuita francese, studioso di fenomeni vulcanici. In realtà è una specie di agente segreto che dovrà dare copertura politica alla spedizione capeggiata dal generale Borges. Viene messo in contatto con la baronessa Argenzia Normanno, che pur soffrendo di qualche squilibrio mentale, ma possedendo numerose masserie è in grado di mandare in giro suoi uomini fidati per raccogliere notizie sugli spostamenti dei briganti. Seguerto, aiutato dalla baronessa, prende contatto con i comitati borbonici di Melfi e Potenza e riesce a fare incontrare Crocco e Borges.
Fra la baronessa Argenzia e il capitano Seguerto scoppia una smodata passione dei sensi. Ne nascerà un figlio che verrà adottato dal notaio Gaudieri.
Nella storia entra anche l'ambigua figura di Liborio Romano, che era stato ministro dei Borbone, ma poi era passato con i Savoia. Ma a modo suo conserva sempre la fede meridionalista. Alla fine del romanzo, col generale La Marmora che è andato a fargli visita, così si sfoga: «Questa nostra terra, voi piemontesi, invece di democraticamente liberarla, la state affliggendo di troppe piaghe. Vi avevamo accolti da liberatori e siete divenuti invasori, instaurando per giunta un'autentica dittatura. Al governo è sembrato più utile privilegiare la linea dei cosiddetti “galantuomini annessionisti” da quella più saggia dei “democratici autonomisti”. L'unità si poteva e si doveva fare garantendo ad ognuno le proprie autonomie. Prima stavamo male, ma almeno tenevamo qualcosa, adesso che, secondo a Vittorio, stiamo meglio... non teniamo niente. Vi meravigliate allora dei briganti e provate scandalo per l'appoggio che a loro sta dando il popolo? Il popolo si vuole vendicare delle ingiustizie; ha scoperto che erano meglio i Borbone, almeno quelli non hanno mai massacrato nessuno».
Rocco Biondi

Dora Liguori, Memento Domine (Ricordati, o Signore), Le verità negate sulla tragedia del Sud fra Borbone, Savoia e Briganti, romanzo, Sibylla Editrice, Roma 2007, pp. 306, € 15,00


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