Il brigante post unitario Giuseppe Schiavone, da Franco Molfese definito «ardito e abile, batté ripetutamente truppe e guardie nazionali», nacque a Sant’Agata di Puglia (nell’attuale provincia di Foggia) il 19 dicembre 1838. Agì tra il 1861 e il 1864, collaborando anche con Michele Caruso e Carmine Crocco. Fu fucilato a Melfi dai piemontesi il 29 novembre 1864. Aveva solo 26 anni.
Non troviamo parole migliori per qualificare Giuseppe Schiavone che quelle di Giuseppe Osvaldo Lucera: «Nella realtà Schiavone è stato un insorgente diverso rispetto a quelli che apparvero, subito dopo l’Unità, nel nostro Meridione d’Italia. Questa diversità consiste in un diverso modo d’interpretare il suo ruolo e di condurre la sua azione. Questa sua peculiarità lo ha dimostrato con atti ed atteggiamenti che hanno quasi tutti un forte contenuto umanitario misto ad una specie di solidarietà con la vittima, non comune e per niente diffusa in quel mondo; quasi un comportamento con evidenti connotati francescani nei confronti dei suoi stessi avversari. Non è entrato nell’Olimpo dei capibanda più rappresentativi del periodo postunitario perché non gli riuscì mai di raggiungere l’intuito militare, misto al disprezzo per il nemico, di un Caruso o il militarismo acceso e non scalfibile di un sergente Romano, come non riuscì mai a sprigionare una carica politica e carismatica che invece riuscì a possedere un personaggio come l’avvocato Tardìo, né tanto meno fu un trascinatore di uomini come invece seppe fare Crocco, nella sua Lucania. Ma pur rimanendo alle falde del monte Olimpo, oppure ad oltre metà strada dalla vetta, Schiavone si è comunque distinto non solo per le sue qualità d’animo di brigante buono, riconosciute anche dall’immaginario collettivo che lo colloca tra i migliori interpreti di quella favolosa epopea, ma quanto per la purezza rivoluzionaria, o meglio per essere stato un fedele interprete del ribellismo contadino di indubbia efficacia».
Noi crediamo che l’opera di Lucera su Giuseppe Schiavone contribuirà a far ascendere questo brigante pugliese nell’Olimpo dei protagonisti del brigantaggio post unitario. Come merita.
Schiavone entrò nell’esercito borbonico come militare di leva nell’anno 1859. All’arrivo di Garibaldi, nel 1860, il comandante del suo reggimento si consegnò al Nizzardo senza sparare un colpo di fucile. Schiavone, nel frattempo diventato sergente, rimase consegnato in caserma fino alla caduta di Gaeta nelle mani dei piemontesi. Disciolto l’esercito borbonico, fu congedato e costretto a tornare a casa. Senz’arte né parte. Decise allora, come tanti altri, di darsi alla macchia, anche per non rispondere alla leva obbligatoria voluta dai piemontesi.
La banda di Schiavone aveva un numero di componenti che variava tra le 40 e le 50 unità, tutte a cavallo. Ne facevano parte ex soldati, contadini, ecclesiastici, perseguitati dalla giustizia, fuggiaschi e molte donne. Unito ad altre bande riuscì a comandare fino a 250 uomini armati, tutti a cavallo.
Quando la Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul Brigantaggio scese in Puglia, alla fine del gennaio 1863, Giuseppe Schiavone si mise ad osservare, dall’altura di un colle, la lunga colonna di soldati che l’accompagnavano. Scrive Lucera: «I commissari avevano soltanto sentito parlare di briganti, ma non ancora li avevano incontrati. L’unico a farsi vedere sui colli della sua Puglia fu proprio il brigante di Sant’Agata, tutto agghindato a festa per l’occasione».
Giuseppe Schiavone amò tante donne, ma quelle che segnarono la sua vita furono Rosa Giuliani e Filomena Pennacchio. La Giuliani lo consegnò ai boia piemontesi quando seppe che Filomena aspettava un figlio da Schiavone.
Prima di essere fucilato, Giuseppe Schiavone lanciò un grido disperato: «Popolo! Tu solo puoi ancora salvarmi, per te ho sempre combattuto!». Ed il popolo, perpetuandone la memoria fino a noi, lo ha salvato dalla morte.
Rocco Biondi
(Dalla mia prefazione al libro di Giuseppe Osvaldo Lucera: Giuseppe Schiavone - Brigante post unitario)
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