Lo straricco Berlusconi sputa in faccia ai poveri. E’ uno schifo usare la povertà per uno spot politico. La social card di 40 euro al mese (1,33 euro al giorno) è una squallida elemosina, che diventa un marchio infamante e mortificante per i poveri. L’erre moscia Tremonti annunzia la carta come una grande trovata pubblicitaria. Per lui ed il suo capo non conta il risultato ma l’effetto mediatico. Avvilisce la supponenza con cui annunciano una merdata come se fosse oro colato.
Senza alcun pudore vengono insultati i poveri. Possiederanno adesso il distintivo di appartenenza. Potranno andare al supermercato orgogliosi di avere e mostrare la carta dei poveri. Berlusconi e Tremonti dovreste vergognarvi, se ne foste capaci, della miserevole trovata.
La carta sociale non cambierà il tenore di vita dei poveri, non risolleverà la crisi dei consumi.
La social card è un’altra trovata italiana per fregare soldi allo stato. Solo una mente screativa come quella di Tremonti poteva partorirla. In realtà servirà ad arricchire chi la stamperà e chi incasserà la commissione sull’uso. Alla faccia dei poveri.
Se veramente si volevano aiutare i bisognosi bastava aumentare le pensioni sociali di quell’importo o far pervenire quei soldi direttamente nelle loro tasche.
Senza contare gli automatici imbrogli conseguenti alle false dichiarazione dei redditi. Verranno premiati gli evasori. Poca cosa, ma sempre premio ed imbroglio è.
L’attuale governo continua a mancare di serietà. Ma non è una novità. I governanti berlusconiani continueranno a vantarsi di essere stati votati. E questa volta non mentono. Altro discorso sarebbe vedere come hanno estorto quei voti.
29 novembre 2008
23 novembre 2008
Dossier Brigantaggio, di Francesco Mario Agnoli
Agnoli con il suo libro intraprende un allegorico viaggio nell’Italia meridionale di quasi un secolo e mezzo fa. Le modalità del viaggio sono simili a quelle del settecentesco Grand Tour, i cui viaggiatori, prima della partenza, si informavano e raccoglievano quante più notizie possibili sui luoghi che avrebbero visitato. Il passaggio diretto su quei luoghi serviva però a controllare l’esattezza sul terreno delle notizie raccolte sulle carte e talvolta ci si dedicava alla stesura di “una nuova cartografia”. Si scoprivano percorsi o completamente nuovi o malamente riportati sulle carte preesistenti, venivano ricollocati nel giusto sito fiumi e montagne, venivano rettificate strade per non correre il rischio di smarrirsi. Si incontravano paesaggi mai visti, abitatori sconosciuti, monumenti nuovi.
Come guide per il suo viaggio l’Agnoli si sceglie sia storici e scrittori che guardano con simpatia ai protagonisti del brigantaggio meridionale postunitario prestando maggiore attenzione ai vinti del Risorgimento: Carlo Alianello, Silvio Vitale, ma anche scrittori filorisorgimentali utili per conoscere i fatti accaduti in quegli anni (dandone però una diversa interpretazione): Antonio Lucarelli, Emidio Cardinali. Ma si ascoltano anche testimonianze dei diretti protagonisti di quei fatti: José Borges, Carmine Donatelli Crocco, il Sergente Romano.
All’Agnoli viene rivolta l’accusa di ripetere cose ormai risapute ed accettate dagli storici. Lui controbatte dicendo che non è assolutamente vero che l’approccio revisionista sia ormai ampiamente condiviso fra gli storici e rivendica la necessità di una rivisitazione della nostra storia dalla Rivoluzione francese in poi.
Dal punto di vista storico continuano ancora a fronteggiarsi due opposte ed inconciliabili interpretazioni dei fatti che avvennero nel decennio che va dal 1860 al 1870. Quella ufficiale, risorgimentalista e liberale, che ritiene sostanzialmente volontaria la partecipazione del Sud al processo dell’unificazione italiana. L’altra interpretazione invece sostiene che quella piemontese fu una vera e propria occupazione, o addirittura una conquista, del Sud. In quest’ultimo contesto il cosiddetto brigantaggio meridionale fu un’autentica ribellione popolare contro un’ingiusta aggressione.
Nelle popolazioni del Sud era chiara la volontà di voler difendere, anche con le armi, la propria patria dall’invasore straniero. Gli abitanti del Sud, tramite il braccio armato dei briganti, intendevano difendere un intero mondo con la sua fede religiosa, le sue tradizioni, le sue cerimonie, i suoi costumi. Lottavano in difesa della loro cultura e del loro dialetto contro una cultura ed un dialetto per loro incomprensibile.
I plebisciti, voluti dai piemontesi, furono un tentativo truffaldino e violento di voler fare ratificare sotto forma di apparente consenso popolare una serie di meri atti di forza. Il vero plebiscito invece contro i piemontesi fu espresso con la guerriglia di popolo.
Gli unitari sabaudi per imporre la loro volontà istituirono i tribunali militari chiamati ad infliggere condanne capitali a chiunque venisse sorpreso armato. Fecero ricorso a fucilazioni indiscriminate, a prolungate carcerazioni di innocenti, senza risparmiare donne e bambini. Distrussero, incendiarono e saccheggiarono interi paesi, che avevano osato ribellarsi.
I mezzi usati dai piemontesi sono altrettanto e a volte più feroci di quelli cui fanno ricorso gli insorti meridionali. «Sicché - scrive Agnoli - o si attribuisce a tutte le parti in conflitto la qualifica di brigante indipendentemente dalla divisa indossata o, quanto meno, se ne esentano entrambe».
Le responsabilità dei sabaudi piemontesi soverchiano di gran lunga quelle dei briganti meridionali. La tristemente famosa legge Pica, già indegna di un paese civile nella formulazione, diviene ancora e di gran lunga peggiore nella sua applicazione.
I primi due ribelli che Agnoli incontra nel suo viaggio nell’ex Regno delle Due Sicilie sono il generale spagnolo José Borges e l’ex pastore di Rionero Carmine Donatelli Crocco, forse i principali protagonisti della rivolta del Sud, certamente i più noti. Due personalità e due modi di concepire la rivolta totalmente diversi, che non nutrono alcuna stima reciproca. Borges considera Crocco non un combattente legittimista, non un soldato, ma un ladro, anzi il re dei ladri. A sua volta Crocco riteneva che il generale Borges fosse un uomo inetto. Eppure l’obiettivo che si prefiggevano era comune e per un certo periodo collaborarono insieme.
Dopo alcuni successi militari contro i piemontesi, Borges e Crocco progettano l’assalto a Potenza. Progetto però che non intraprenderanno mai. Tale rinuncia quasi certamente fu concordata fra Borges e Crocco.
Borges certamente non è un inetto, ma Crocco non sbaglia a definirlo un illuso. Al di là del valore dei due personaggi - scrive Agnoli - non vi è dubbio che il cafone Carmine Donatelli Crocco rappresenti, nel bene e nel male, la rivolta meridionale all’invasione assai più a fondo del valoroso hidalgo José Borges.
Proseguendo il suo viaggio nelle terre del Sud l’Agnoli incontra tanti legittimisti stranieri, venuti in Italia da tutta Europa a sostegno di re Francesco II e della regina Maria Sofia. Quasi tutti appartenuti agli alti gradi dalla carriera militare. Fra essi l’ufficiale prussiano e poeta romantico Edwin Kalkreuth de Gotha, il generale bretone Augustin de Langlais, il marchese belga Alfred de Trazegnies, il generale spagnolo Rafael Tristany, l’austriaco Ludwig Richard Zimmermann, Theodor Friedrich Klitsche de La Grange, Emile Théodule de Christen; legittimista italiano è il tenente Achille Caracciolo di Girifalco.
Nel basso Lazio, ai confini con gli Abruzzi, combatteva il brigante Luigi Alonzi, detto Chiavone. Guardaboschi, nato a Sora, era riuscito a raccogliere nella sua banda fino a 500 uomini. Ottenne vari successi contro l’esercito piemontese. Con lui ebbero a che fare quasi tutti i legittimisti sopra citati. Fu contrastato dal Tristany e dallo Zimmermann, che lo fecero condannare a morte e fucilare. Ma anche Chiavone, come Crocco, è più vicino alla lotta meridionale di quanto non lo siano i legittimisti stranieri.
Proseguendo il suo viaggio nelle terre dei briganti l’Agnoli arriva in Puglia ed incontra Pasquale Domenico Romano, detto il Sergente Romano, «uno dei protagonisti più umanamente positivi, accanto allo spagnolo José Borges, dell’intera vicenda della ribellione meridionale all’invasione piemontese». Romano riuscì ad unire attorno a sé tutti i capi della ribellione barese e leccese: Rocco Chirichigno, Francesco Monaco, Cosimo Mazzeo Pizzichicchio, Giuseppe Valente Nenna-Nenna; ebbe contatti e fece delle azioni di guerriglia anche insieme a Crocco. Dopo diverse vittorie, Romano in un ultimo scontro fu ucciso dai piemontesi a colpi di sciabola.
Nella sua virtuale peregrinazione Agnoli va anche nella fortezza di Civitella del Tronto, ultimo baluardo borbonico; deviando poi per Napoli, partecipa alla congiura di Frisio, un luogo sulla costa di Posillipo, dove si tentò di organizzare una opposizione cittadina, aristocratica e borghese all’invasione piemontese; visita anche Montefalcione, vicino Avellino, dove nel 1861 vi fu una corale insurrezione popolare contro i piemontesi; partecipa ai moti siciliani del 1866; incontra poi le brigantesse Maria Lucia Di Nella, Filomena Pennacchio, Marianna Corfù, Maria Capitanio, Michelina Di Cesare, Maria Orsola D’Acquisto, Maria Oliverio ed anche l’ultima brigantessa del Sud: la regina Maria Sofia, la giovane moglie bavarese di Francesco II.
Rocco Biondi
Francesco Mario Agnoli, Dossier Brigantaggio - Viaggio tra i ribelli al borghesismo e alla modernità, Controcorrente, Napoli 2003, pp. 390, € 20,00
Come guide per il suo viaggio l’Agnoli si sceglie sia storici e scrittori che guardano con simpatia ai protagonisti del brigantaggio meridionale postunitario prestando maggiore attenzione ai vinti del Risorgimento: Carlo Alianello, Silvio Vitale, ma anche scrittori filorisorgimentali utili per conoscere i fatti accaduti in quegli anni (dandone però una diversa interpretazione): Antonio Lucarelli, Emidio Cardinali. Ma si ascoltano anche testimonianze dei diretti protagonisti di quei fatti: José Borges, Carmine Donatelli Crocco, il Sergente Romano.
All’Agnoli viene rivolta l’accusa di ripetere cose ormai risapute ed accettate dagli storici. Lui controbatte dicendo che non è assolutamente vero che l’approccio revisionista sia ormai ampiamente condiviso fra gli storici e rivendica la necessità di una rivisitazione della nostra storia dalla Rivoluzione francese in poi.
Dal punto di vista storico continuano ancora a fronteggiarsi due opposte ed inconciliabili interpretazioni dei fatti che avvennero nel decennio che va dal 1860 al 1870. Quella ufficiale, risorgimentalista e liberale, che ritiene sostanzialmente volontaria la partecipazione del Sud al processo dell’unificazione italiana. L’altra interpretazione invece sostiene che quella piemontese fu una vera e propria occupazione, o addirittura una conquista, del Sud. In quest’ultimo contesto il cosiddetto brigantaggio meridionale fu un’autentica ribellione popolare contro un’ingiusta aggressione.
Nelle popolazioni del Sud era chiara la volontà di voler difendere, anche con le armi, la propria patria dall’invasore straniero. Gli abitanti del Sud, tramite il braccio armato dei briganti, intendevano difendere un intero mondo con la sua fede religiosa, le sue tradizioni, le sue cerimonie, i suoi costumi. Lottavano in difesa della loro cultura e del loro dialetto contro una cultura ed un dialetto per loro incomprensibile.
I plebisciti, voluti dai piemontesi, furono un tentativo truffaldino e violento di voler fare ratificare sotto forma di apparente consenso popolare una serie di meri atti di forza. Il vero plebiscito invece contro i piemontesi fu espresso con la guerriglia di popolo.
Gli unitari sabaudi per imporre la loro volontà istituirono i tribunali militari chiamati ad infliggere condanne capitali a chiunque venisse sorpreso armato. Fecero ricorso a fucilazioni indiscriminate, a prolungate carcerazioni di innocenti, senza risparmiare donne e bambini. Distrussero, incendiarono e saccheggiarono interi paesi, che avevano osato ribellarsi.
I mezzi usati dai piemontesi sono altrettanto e a volte più feroci di quelli cui fanno ricorso gli insorti meridionali. «Sicché - scrive Agnoli - o si attribuisce a tutte le parti in conflitto la qualifica di brigante indipendentemente dalla divisa indossata o, quanto meno, se ne esentano entrambe».
Le responsabilità dei sabaudi piemontesi soverchiano di gran lunga quelle dei briganti meridionali. La tristemente famosa legge Pica, già indegna di un paese civile nella formulazione, diviene ancora e di gran lunga peggiore nella sua applicazione.
I primi due ribelli che Agnoli incontra nel suo viaggio nell’ex Regno delle Due Sicilie sono il generale spagnolo José Borges e l’ex pastore di Rionero Carmine Donatelli Crocco, forse i principali protagonisti della rivolta del Sud, certamente i più noti. Due personalità e due modi di concepire la rivolta totalmente diversi, che non nutrono alcuna stima reciproca. Borges considera Crocco non un combattente legittimista, non un soldato, ma un ladro, anzi il re dei ladri. A sua volta Crocco riteneva che il generale Borges fosse un uomo inetto. Eppure l’obiettivo che si prefiggevano era comune e per un certo periodo collaborarono insieme.
Dopo alcuni successi militari contro i piemontesi, Borges e Crocco progettano l’assalto a Potenza. Progetto però che non intraprenderanno mai. Tale rinuncia quasi certamente fu concordata fra Borges e Crocco.
Borges certamente non è un inetto, ma Crocco non sbaglia a definirlo un illuso. Al di là del valore dei due personaggi - scrive Agnoli - non vi è dubbio che il cafone Carmine Donatelli Crocco rappresenti, nel bene e nel male, la rivolta meridionale all’invasione assai più a fondo del valoroso hidalgo José Borges.
Proseguendo il suo viaggio nelle terre del Sud l’Agnoli incontra tanti legittimisti stranieri, venuti in Italia da tutta Europa a sostegno di re Francesco II e della regina Maria Sofia. Quasi tutti appartenuti agli alti gradi dalla carriera militare. Fra essi l’ufficiale prussiano e poeta romantico Edwin Kalkreuth de Gotha, il generale bretone Augustin de Langlais, il marchese belga Alfred de Trazegnies, il generale spagnolo Rafael Tristany, l’austriaco Ludwig Richard Zimmermann, Theodor Friedrich Klitsche de La Grange, Emile Théodule de Christen; legittimista italiano è il tenente Achille Caracciolo di Girifalco.
Nel basso Lazio, ai confini con gli Abruzzi, combatteva il brigante Luigi Alonzi, detto Chiavone. Guardaboschi, nato a Sora, era riuscito a raccogliere nella sua banda fino a 500 uomini. Ottenne vari successi contro l’esercito piemontese. Con lui ebbero a che fare quasi tutti i legittimisti sopra citati. Fu contrastato dal Tristany e dallo Zimmermann, che lo fecero condannare a morte e fucilare. Ma anche Chiavone, come Crocco, è più vicino alla lotta meridionale di quanto non lo siano i legittimisti stranieri.
Proseguendo il suo viaggio nelle terre dei briganti l’Agnoli arriva in Puglia ed incontra Pasquale Domenico Romano, detto il Sergente Romano, «uno dei protagonisti più umanamente positivi, accanto allo spagnolo José Borges, dell’intera vicenda della ribellione meridionale all’invasione piemontese». Romano riuscì ad unire attorno a sé tutti i capi della ribellione barese e leccese: Rocco Chirichigno, Francesco Monaco, Cosimo Mazzeo Pizzichicchio, Giuseppe Valente Nenna-Nenna; ebbe contatti e fece delle azioni di guerriglia anche insieme a Crocco. Dopo diverse vittorie, Romano in un ultimo scontro fu ucciso dai piemontesi a colpi di sciabola.
Nella sua virtuale peregrinazione Agnoli va anche nella fortezza di Civitella del Tronto, ultimo baluardo borbonico; deviando poi per Napoli, partecipa alla congiura di Frisio, un luogo sulla costa di Posillipo, dove si tentò di organizzare una opposizione cittadina, aristocratica e borghese all’invasione piemontese; visita anche Montefalcione, vicino Avellino, dove nel 1861 vi fu una corale insurrezione popolare contro i piemontesi; partecipa ai moti siciliani del 1866; incontra poi le brigantesse Maria Lucia Di Nella, Filomena Pennacchio, Marianna Corfù, Maria Capitanio, Michelina Di Cesare, Maria Orsola D’Acquisto, Maria Oliverio ed anche l’ultima brigantessa del Sud: la regina Maria Sofia, la giovane moglie bavarese di Francesco II.
Rocco Biondi
Francesco Mario Agnoli, Dossier Brigantaggio - Viaggio tra i ribelli al borghesismo e alla modernità, Controcorrente, Napoli 2003, pp. 390, € 20,00
15 novembre 2008
Carla Bruni, Obama “abbronzato” e Berlusconi
Per ricambiare la carineria fatta da Berlusconi nei confronti di Obama: «E’ giovane, bello e abbronzato», noi di Berlusconi potremmo dire: «E’ vecchio, brutto e pallido».
Arriverà il tempo che l’insulto che noi di «razza bianca» rivolgiamo ai neri: «Sporco negro di merda!» ci verrà ricambiato da quelli di «razza nera» con l’equivalente «Sporco bianco di merda!». Non ho fatta una ricerca approfondita, ma a naso dico che il colore della merda accomuna bianchi e neri.
Mario Pirani carinamente ha tentato di ingentilire il primo slogan tramutandolo in «sporco abbronzato di merda!». Io ho un’idea di come ingentilire, personalizzandolo, il secondo slogan, ma me la tengo per me.
Potrebbe arrivare il tempo che la «razza bianca» diventi «razza inferiore», rispetto alla nera. Forse ci potrebbe convenire annientare completamente il concetto di razza. Forse ci conviene parteggiare per gli abbronzati.
Carla Bruni, moglie del presidente francese Sarkozy, non ha dubbi, si schiera apertamente dalla parte dell’abbronzato Obama. «Mi fa uno strano effetto - ha detto la Bruni - quanto sento Silvio Berlusconi prendere l’avvenimento alla leggera e scherzare sul fatto che Obama è “sempre abbronzato”. E per questo sono felice di non essere più italiana».
Sono tantissimi gli italiani che sarebbero felici di non essere più italiani, per non essere spernacchiati alle uscite di Berlusconi. Almeno per il tempo che il Berlusca è pres del cons italiano.
Non si vergognano invece di essere berlusconiani Francesco Cossiga, Giorgia Meloni, Alessandra Mussolini e Roberto Castelli, che ha avuto il grandissimo acume di affermare: «la first lady di un paese importante dovrebbe pensare bene prima di parlare», che è appunto quello che in tutto il mondo pensano dovrebbe fare Berlusconi. In Francia ed in tutto il mondo civile, una battuta come quella di Berlusconi avrebbe provocato una tempesta politica e non avrebbe potuto essere liquidata come una carineria.
Ma l’uscita di Berlusconi può essere considerata una semplice cazzata? Non lo ritiene Mario Pirani, che afferma: «Non reputo una gaffe la desolante battuta del campione mondiale delle facce di bronzo, ancorché perfezionato da lifting, trapianti di chioma e tiraggi anti ruga». Quella battuta sottende una cultura sedimentata, che affonda le sue radici nel fascismo di Benito Mussolini, l’emanatore delle leggi razziali e che Dell’Utri ritiene «un uomo di valore dal punto di vista sia umano che culturale».
Il Regime fascista puniva con anni di carcere il concubinato tra un bianco e «una persona suddita dell’Africa orientale». Il Regime si rivolse anche al Vaticano «per evitare le nascite dei mulatti, che sono dei degenerati». Papa Pio XI approvò una direttiva che vietava «le ibridi unioni, per i saggi motivi igienico-sanitari intesi dallo Stato, la sconvenienza di un coniugio fra un bianco e un negro, le accresciute deficienze morali nel carattere della prole nascitura».
Queste cose qualcuno le avrà dette ad Obama.
Arriverà il tempo che l’insulto che noi di «razza bianca» rivolgiamo ai neri: «Sporco negro di merda!» ci verrà ricambiato da quelli di «razza nera» con l’equivalente «Sporco bianco di merda!». Non ho fatta una ricerca approfondita, ma a naso dico che il colore della merda accomuna bianchi e neri.
Mario Pirani carinamente ha tentato di ingentilire il primo slogan tramutandolo in «sporco abbronzato di merda!». Io ho un’idea di come ingentilire, personalizzandolo, il secondo slogan, ma me la tengo per me.
Potrebbe arrivare il tempo che la «razza bianca» diventi «razza inferiore», rispetto alla nera. Forse ci potrebbe convenire annientare completamente il concetto di razza. Forse ci conviene parteggiare per gli abbronzati.
Carla Bruni, moglie del presidente francese Sarkozy, non ha dubbi, si schiera apertamente dalla parte dell’abbronzato Obama. «Mi fa uno strano effetto - ha detto la Bruni - quanto sento Silvio Berlusconi prendere l’avvenimento alla leggera e scherzare sul fatto che Obama è “sempre abbronzato”. E per questo sono felice di non essere più italiana».
Sono tantissimi gli italiani che sarebbero felici di non essere più italiani, per non essere spernacchiati alle uscite di Berlusconi. Almeno per il tempo che il Berlusca è pres del cons italiano.
Non si vergognano invece di essere berlusconiani Francesco Cossiga, Giorgia Meloni, Alessandra Mussolini e Roberto Castelli, che ha avuto il grandissimo acume di affermare: «la first lady di un paese importante dovrebbe pensare bene prima di parlare», che è appunto quello che in tutto il mondo pensano dovrebbe fare Berlusconi. In Francia ed in tutto il mondo civile, una battuta come quella di Berlusconi avrebbe provocato una tempesta politica e non avrebbe potuto essere liquidata come una carineria.
Ma l’uscita di Berlusconi può essere considerata una semplice cazzata? Non lo ritiene Mario Pirani, che afferma: «Non reputo una gaffe la desolante battuta del campione mondiale delle facce di bronzo, ancorché perfezionato da lifting, trapianti di chioma e tiraggi anti ruga». Quella battuta sottende una cultura sedimentata, che affonda le sue radici nel fascismo di Benito Mussolini, l’emanatore delle leggi razziali e che Dell’Utri ritiene «un uomo di valore dal punto di vista sia umano che culturale».
Il Regime fascista puniva con anni di carcere il concubinato tra un bianco e «una persona suddita dell’Africa orientale». Il Regime si rivolse anche al Vaticano «per evitare le nascite dei mulatti, che sono dei degenerati». Papa Pio XI approvò una direttiva che vietava «le ibridi unioni, per i saggi motivi igienico-sanitari intesi dallo Stato, la sconvenienza di un coniugio fra un bianco e un negro, le accresciute deficienze morali nel carattere della prole nascitura».
Queste cose qualcuno le avrà dette ad Obama.
8 novembre 2008
Raccolta differenziata: email al Sindaco di Villa Castelli
Ho ricevuta da Silvia la seguente email. La pubblico volentieri in questo mio blog, nella speranza che susciti qualche seria riflessione in chi legge e principalmente negli amministratori di Villa Castelli.
Salve,
sono una cittadina di Villa Castelli, anche se da qualche anno vivo a Lecce.
Volevo portarla a conoscenza di una email che ho mandato al signor Sindaco e che ho invano tentato di mandare ad altri consiglieri comunali, che però non dispongono di indirizzo email.
Poichè il suo blog è molto in vista, volevo chiederle di dare luce al problema della raccolta differenziata nel nostro paese, chissà che non si riesca a trarne qualcosa.
Io intanto resto in attesa di una gradita risposta dal signor Sindaco.
Di seguito l'email spedita.
Grazie per l'attenzione prestata.
Salve Signor Sindaco, avrei desiderio di sapere la politica del nostro paese per quanto riguarda la raccolta differenziata.
Salve,
sono una cittadina di Villa Castelli, anche se da qualche anno vivo a Lecce.
Volevo portarla a conoscenza di una email che ho mandato al signor Sindaco e che ho invano tentato di mandare ad altri consiglieri comunali, che però non dispongono di indirizzo email.
Poichè il suo blog è molto in vista, volevo chiederle di dare luce al problema della raccolta differenziata nel nostro paese, chissà che non si riesca a trarne qualcosa.
Io intanto resto in attesa di una gradita risposta dal signor Sindaco.
Di seguito l'email spedita.
Grazie per l'attenzione prestata.
Salve Signor Sindaco, avrei desiderio di sapere la politica del nostro paese per quanto riguarda la raccolta differenziata.
Manco da Villa Castelli da qualche anno per motivi di studio, e mi ha dato "fastidio" sentir nominare questo bel paese quale pecora nera nella raccolta differenziata (meno dell'1% dei rifiuti totali) nell'ambito pugliese.
La notizia l'ho appresa da un servizio di Raitre (se non sbaglio AmbienteItalia) lo scorso 1 novembre, e i dati sono stati confermati in questo sito http://www.rifiutiebonifica.puglia.it/dettaglio_trasmissione.php?IdComune=161&DataInizio=9
Volevo chiedervi dunque di poter prendere seri provvedimenti con iniziative di sensibilizzazione che coinvolgano attivamente il cittadino, in modo da risollevare i dati, e poter sentire notizie solo positive su questo bel paese!!!
Spero vivamente che possiate prendere in considerazione questo mio pensiero, visti i tempi che corrono....
La qualità dell'ambiente che ci circonda, l'aria che respiriamo, e che respireranno i nostri figli in futuro, dipende da tutto quello che noi cittadini, insieme ai comuni, ci impegnamo a fare...
Cordialmente
Cordialmente
Lidia Urso
1 novembre 2008
Scuola: quant’è bona la Gelmini
Era prevedibile. Sarebbero nati i gruppi in difesa della Gelmini. Senza pudore e con la più grande faccia tosta. Il più colorito ed il più vuoto è quello nato su facebook intitolato “Gelmini: un ministro con le palle”. Alla signorina le palle gliele ha disegnate Tremonti, intimandole: “zitta e taglia”. E la signorina esegue.
Era prevedibile. Le manifestazioni di studenti, genitori e professori stavano andando bene. La popolarità del Berlusca andava in discesa libera. Ed allora vengono mandati i guastatori fascisti con le mazze ferrate a creare un po’ di scompiglio. Su ispirazione del guastatore-mazziere Cossiga.
Era prevedibile. I compari si schierano compatti in difesa della malcapitata Gelmini. Il più accanito difensore è il ministro della difesa La Russa, che chiama l’applauso: «Glielo abbiamo fatto per come ha contrastato le falsità sulla riforma della scuola». E ci mancherebbe, aveva imparato a memoria la lezioncina.
Era prevedibile. Gli appartenenti al clan Berlusca vogliono far fare agli altri quello che non fanno loro. Ed allora il primo articolo del famigerato decreto-legge 137 (ora legge) recita che nelle scuole devono essere attivate azioni di sensibilizzazione e di formazione finalizzate all’acquisizione delle conoscenze e delle competenze relative a “Cittadinanza e Costituzione”, in tutte le aree, eccetto ovviamente nell’area dell’attuale maggioranza.
Era prevedibile. Le manifestazioni di studenti, genitori e professori stavano andando bene. La popolarità del Berlusca andava in discesa libera. Ed allora vengono mandati i guastatori fascisti con le mazze ferrate a creare un po’ di scompiglio. Su ispirazione del guastatore-mazziere Cossiga.
Era prevedibile. I compari si schierano compatti in difesa della malcapitata Gelmini. Il più accanito difensore è il ministro della difesa La Russa, che chiama l’applauso: «Glielo abbiamo fatto per come ha contrastato le falsità sulla riforma della scuola». E ci mancherebbe, aveva imparato a memoria la lezioncina.
Era prevedibile. Gli appartenenti al clan Berlusca vogliono far fare agli altri quello che non fanno loro. Ed allora il primo articolo del famigerato decreto-legge 137 (ora legge) recita che nelle scuole devono essere attivate azioni di sensibilizzazione e di formazione finalizzate all’acquisizione delle conoscenze e delle competenze relative a “Cittadinanza e Costituzione”, in tutte le aree, eccetto ovviamente nell’area dell’attuale maggioranza.
Era prevedibile. Gli studenti hanno detto che non si lasceranno intimorire e continueranno nella lotta. Speriamo che non si stanchino mai. Fino alla vittoria.