L’inglese William John Charles Moens, agente di Borsa a Londra, inizia il suo viaggio nel sud d’Italia il 12 gennaio 1865, partendo da Palermo che aveva raggiunta dopo una rapida traversata in piroscafo da Marsiglia. Aveva 31 anni. L’accompagna la moglie Anne Warlters, figlia di un proprietario terriero, che aveva sposata cinque mesi prima.
Moens per documentare i luoghi che vede, anziché tavolozza e pennelli, usa la macchina fotografica.
Il capobrigante Gaetano Manzo, che rapì Moens, era di quattro anni e mezzo più giovane di lui, essendo nato il 1° dicembre 1837. Avrebbe fatto il “formaggiaro” per tutta la vita, se non fosse stato vittima – come scrive la curatrice del libro Madeline Merlini – di un sopruso da parte del sindaco di Acerno al momento dell’estrazione a sorte per la leva del gennaio 1861.
Nel libro si alternano estratti dal diario di Annie Moens e dal diario di William Moens. La narrazione dei fatti è vista sia con l’occhio del rapito che con quello di chi deve pagare il riscatto.
La stesura del “Diario” si basa solo in minima parte su note prese al momento del verificarsi dei fatti, è più consistentemente una rielaborazione successiva. Moens, durante i mesi del sequestro, scriveva i suoi appunti su un’agendina Letts’s che aveva in tasca quando era stato catturato. Manzo prima di rilasciare Moens aveva strappato le pagine dell’agendina per timore che gli appunti potessero essere utilizzati contro la sua banda. Ma Moens era stato preveggente: «Invece qualche giorno prima avevo strappato le pagine dell’agendina Letts’s su cui avevo veramente preso appunti e le avevo nascoste nella fodera del gilè. Poi annotai ancora qualche pagina in modo che Manzo la potesse strappare, cosa che fece appena gli consegnai l’agendina. Gli appunti salvati sono stati invece utilissimi nella stesura di queste pagine: grazie ad essi ho potuto stabilire la data esatta dei nostri spostamenti e molti altri dettagli che altrimenti mi sarebbero sfuggiti».
Il libro di Moens fu pubblicato in Inghilterra, suscitando un certo interesse, nel 1866, l’anno dopo del sequestro. In Italia invece si è dovuto aspettare, per vedere la traduzione curata da Madeline Merlini, il 1977.
I briganti vengono quasi invocati fin dalle prime pagine del libro. A Palermo «nessuno osa avventurarsi oltre le porte della città per paura dei briganti, e, di conseguenza, la loro passeggiata è limitata alle due miglia che occorrono per percorrere la città e la Marina». «Sovente sentiamo parlare dei briganti, e ci dicono che i contadini sono tutti armati e che la campagna palermitana è in uno stato di fermento». «Come si può immaginare io temevo di imbattermi in qualche brigante, e il mio cuore ebbe un sussulto quando vidi alcuni uomini armati avanzare verso di noi. Ma, si trattava di innocui cacciatori». «Non so perché i turisti e gli ospiti degli alberghi si sentono al sicuro. Qualche volta penso che gli albergatori paghino una tangente ai briganti». «Ci dissero che sarebbe stata una follia cercare di arrivare a Palermo via terra. Per farlo avremmo dovuto avere una grossa scorta di militari ma, anche in questo caso, molto probabilmente i briganti ci avrebbero assalito e forse sequestrato». Sono questi solo alcuni passi dove, nelle prime pagine del libro, si parla frequentemente e ossessivamente di briganti.
E finalmente a pagina 66 i briganti arrivano veramente. «Ero stanchissima ed essendomi addormentata, fui improvvisamente svegliata dal grido della signora Aynsley: “Ecco veramente i briganti!”», scrive Anne Warlters.
E’ il 15 maggio 1865. Siamo in Campania sulla strada che porta a Battipaglia, verso sera. Insieme a William Moens viene rapito anche il compagno di viaggio Murray Aynsley, che verrà liberato qualche giorno dopo. Nella stessa giornata, apprendiamo da una nota, dalla banda Manzo vengono anche sequestrati Buonaventura Luzzi, Alfonso e Aniello Cuomo, Antonio di Muro, Pasquale Cerrone di Acerno e Giuseppe Farina di Sanseverino. Una bella retata.
Comincia per Moens un continuo peregrinare per i monti campani presso Salerno, che durerà centodue giorni.
Non furono giorni facili, né per i sequestrati né per i briganti. Fame, sete, malattie, sporcizia, pidocchi, piogge, freddo, caldo erano loro compagni. Scrive Moens: « Avevo molta fame perché ero al digiuno dal giorno prima. Continuavo a chiedere del pane, ma dicevano che la presenza di pattuglie impediva loro di andare a procurarsene. … Piovve tutta la notte e c’era un vento così tagliente che ci svegliammo, se possibile, ancora più infreddoliti e intirizziti del solito. … Sono esposto alle inclemenze del tempo: muoio di fame, di freddo e di angoscia. … Portavo gli stessi abiti da quasi un mese e non mi era mai stato concesso di lavarmi. … Prima non avevo nemmeno visto un pidocchio, e rimasi inorridito quando constatai di esserne coperto. … Ho avuto spaventosi attacchi di diarrea perché mangio poco e male. … Rimanemmo in quel posto fino al 16 luglio. Faceva molto caldo e io avevo sempre sete. … Non assaggiai altro cibo per tre giorni. … Dovevo curarmi le piaghe con molta attenzione, perché lo stato di sporcizia in cui mi trovavo, visto che i miei custodi non mi permettevano di lavarmi, presto facevano peggiorare ogni ferita. … Di giorno in giorno diventavo sempre più debole, fino a quando non riuscii più a parlare ma solo a sussurrare invocando la morte».
Il brigantaggio – scrive Moens – non potrebbe sussistere, senza l’omertà dei contadini, che si lasciano tentare dai prezzi alti che i briganti sono disposti a pagare per avere cibo. «Prima di fornire qualunque oggetto ai banditi, i contadini si fanno pagare in anticipo e salatamene. I quattro quinti del denaro estorto con i rapimenti finiscono in tasca ai contadini, e il resto viene speso per acquisti in città. Non c’è da meravigliarsi che i contadini favoriscano il brigantaggio e appoggino la causa di Francesco II». Si attua così – scrive la Merlini – una forma di rudimentale redistribuzione della ricchezza.
Solo gli uomini che partecipano al rapimento hanno diritto ad una parte del bottino. Tolte le spese generali, la restante parte viene divisa in parti uguali fra tutti.
Diverso e contrapposto è il comportamento tenuto nella gestione dei sequestri fra le autorità civili e quelle militari. «Mentre le autorità civili sapevano tutto quello che i miei amici stavano facendo e assicuravano la loro collaborazione, consentendo al Signor Visconti di inoltrare il denaro, le autorità militari erano decise a impedire che il riscatto giungesse ai briganti».
Nel libro viene anche documentato il reciproco interesse che nasce fra Moens e i suoi rapitori, ed in primis con il capo Manzo; una specie di “Sindrome di Stoccolma”. Addirittura, in seguito ai meravigliosi racconti del rapito sulla California e l’Australia, dove si trovava oro scavando la terra, i briganti propongono a “don Guglielmo” Moens di averlo come capo in una improbabile spedizione in quelle terre. I briganti non sono visti come delinquenti, ma come uomini e donne degni di interesse, di simpatia e persino di rispetto. Scrive la Merlini: «La natura puramente “criminale” del brigantaggio meridionale è smentita dal Moens si può dire ad ogni pagina».
Quando il capobrigante Manzo chiese al rapito Moens, prima di rilasciarlo, su cosa avrebbe detto al Prefetto a proposito della banda, Moens rispose che avrebbe detto «che Manzo e la sua banda di trenta uomini avevano sfidato un esercito di diecimila soldati e che lui aveva dimostrato di essere il più bravo».
Per il rilascio di Moens, avvenuto la notte del 25 agosto 1865 sulla strada fra Acerno e Giffoni, fu pagato complessivamente, in diverse rate, un riscatto di 30.000 ducati, pari a 5.100 sterline di allora. Una somma considerevole, ma piccola cosa rispetto al patrimonio di Moens.
Rocco Biondi
William Moens, Briganti italiani e viaggiatori inglesi, a cura di Madeline Merlini, TEA, Milano 1997, pp. 254
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