Nicola Misasi (nato a Cosenza il 1850 e morto a Roma il 1923) non ha in simpatia il bandito d’Aspromonte Giuseppe Musolino, che negli anni intorno al 1906 (anno di pubblicazione di Briganteide) faceva tanto parlare di sé le cronache dei giornali. Musolino – scrive Misasi nella premessa al libro - «non è punto un brigante, perché non basta l’uccidere, non basta l’esser feroce, non basta il vendicarsi dei propri nemici per meritare un tale titolo di nobiltà nel regno del delitto». L’omicida di Reggio non è un Carlo Moor, un Ernani, un Ettore di Serralta, anime assetate di libertà e di giustizia che sorgevano per difendere i deboli contro i forti, gli oppressi contro gli oppressori.
E poi Reggio non fu mai terra di briganti, perché con il suo sole caldo e limpido, il suo mare spumoso e ridente, i suoi colli ed i suoi piani verdi di ulivi e di aranci, può essere la terra di «Mignon morbide e bianche sognanti baci e carezze fra i rosai» e non la terra dei Robin Hood armati di carabine e di pugnale, aspettanti al varco il passeggero.
Regno e terra dei briganti era la Sila cosentina, «far la storia della Sila è far la storia del brigantaggio». La Sila si estende da Acri a Taverna per circa cento chilometri, con picchi che giungono all’altezza di 1800 metri sul livello del mare, con gole profonde, con altipiani acquitrinosi. Per le pendici della Sila sono disseminati gli innumerevoli paeselli in cui d’inverno tornano i contadini scacciati dalla neve e dal freddo dei monti; «e da quei paeselli balzavano nelle macchie gli oppressi, i reietti, coloro che a una lunga vita di stenti, di umiliazione e di servitù, preferivano un breve giorno di tripudio». “Meglio un anno toro che cento anni bue”, diceva un detto dei montanari silani; «e in tal detto ci era tutta la Sila, ci era tutto il brigantaggio dei tempi di Roma fino ai nostri tempi».
Bene ha fatto quindi l’editore – scrive Misasi - «ad invitarmi a scrivere non già di Musolino, ma a proposito di lui e del chiasso che si è fatto intorno a lui, una breve storia del brigantaggio calabrese». Impresa non facile per il Misasi sintetizzare quanto già aveva scritto in una cinquantina di romanzi e circa duecento racconti. E nella premessa il Misasi stesso invita a chi vuol saperne di più a leggere i suoi Racconti Calabresi, In Magna Sila, Senza dimani, Assedio di Amantea, Cronache del Brigantaggio.
Raffaele Nigro, nel suo Giustiziateli sul campo, citando Antonio Verre, scrive che Misasi è stato «fecondo romanziere di un’idea sola». L’idea del brigantaggio, espressione di una ancestralità ferina ma eroica che faceva dell’antico calabrese un titano.
Al brigante «temuto dagli uomini, amato dalle femmine, protetto dai signori, servito dai poveri, pasciuto di carni succolenti, di vino generoso, vestito di velluto coi bottoni di oro o di argento, armato di fucili damaschinati e di pugnali con l'elsa di avorio; sentendosi nelle solitudini immense e nei boschi profondi, dei quali conosceva ogni sentiero, ogni antro, ogni recesso, libero come lo sparviero e gagliardo come il toro; assaporando la voluttà di sentirsi lupo, lui che per tanti anni era stato agnello, che importava se domani, sorpreso a mezzo di un banchetto, di un ballo o fra le braccia di una femmina una palla di fucile lo farà rotolare cadavere in fondo ad un burrone; o se, dopo aver lottato come un cinghiale inferocito, e aver ferito ed ucciso, lo trarranno in un carcere per esser poi condotto al patibolo in mezzo ad una folla di spettatori, tra i quali riconoscerà l'amico con cui banchettò, la bella femmina che gli diede baci e carezze, che importava?». Per un anno o per pochi mesi avrebbe goduto tutte le gioie della vita, si sarebbe pasciuto di cibi delicati, avrebbe dormito avvolto nell'ampio e ricco mantello presso un buon fuoco scoppiettante in una vasta caverna, avrebbe amato e sarebbe stato amato dalle più belle contadine.
Al Misasi interessa poco la cornice storica nella quale si muovono i briganti, per lui «il brigantaggio calabrese fu una lotta secolare tra il debole ed il forte che è poi la storia dell’umanità». Non sono gli avvenimenti storici che creano le condizioni del brigantaggio, «era il bosco che produceva il brigante, che lo attirava, che gli parlava di libertà, d'indipendenza, che ne temprava il cuore alle passioni violenti; era la Sila che lo seduceva come una femmina bella e perversa, con le sue segrete bellezze, con le sue acri voluttà. Da Spartaco a Marco Berardi, da Tallarico a Seinardi, quanti di cotesti audaci ivi regnarono, quante pagine vi scrissero della fosca leggenda!».
Il gladiatore Spartaco, che nel 73 a.C. capeggiò una grande rivolta contro Roma, si rifugiò nei monti della Sila per rifarsi di una sconfitta e uscirne «più baldo e più risoluto a viver libero ed a morir libero».
Marco Berardi, proclamatosi “il Re dei boschi”, tenne in scacco sui monti della Sila per molti anni le truppe di Filippo II, re di Napoli e Sicilia dal 1556 al 1598. Per non farsi prendere vivo, si lasciò morire con la sua donna chiuso in una grotta.
Ma l’ammirazione maggiore del Misasi va al brigante Giosafatte Tallarico, «brigante calabrese, non superato dai masnadieri che lo precedettero e lo seguirono». In lui la forza era accoppiata all’astuzia, il coraggio alla prudenza, la ferocia alla bontà, la rozzezza ad una certa cultura. Era stato prete, poi aveva studiato da farmacista, ma nel 1820 uccise il seduttore di sua sorella e si diede alla macchia. Per ventisette anni, dal 1820 al 1847, regnò da re assoluto sulla Sila. Di lui – dice il Misasi – si ricordano solo le buone azioni, gli atti di generosità, di carità, di cavalleria. Trattò la sua resa alle forze governative per mezzo di un avvocato casentino. Fu deportato ad Ischia, ove gli assegnarono una casetta in riva al mare. Morì quasi novantenne, riverito ed amato.
Di questi ed altri briganti Misasi parla con entusiasmo nella sua Briganteide, che non è certamente l’opera sua più riuscita, ma è l’ultima testimonianza della sua ammirazione e stima per gli eroi briganti.
Ma ora [nel 1906] il brigantaggio è finito. L’emigrazione, portando in lontane contrade lo spirito di avventura e di vagabondaggio del calabrese, ha ucciso il brigante.
L’editore Laruffa ristampando quest’opera del Misasi continua la sua meritoria operazione culturale di riproposizione e diffusione di importanti e significativi scritti sul brigantaggio politico e sociale.
Se un piccolo appunto si vuol muovere all’editore è che sarebbe stato più utile e funzionale stampare i due volumi insieme [unico volume], premettendo una introduzione bio-bibliografica sul Misasi.
Rocco Biondi
Nicola Misasi, Briganteide, Laruffa Editore, Reggio Calabria 2007, Vol. I (pp. 126, € 10,00), Vol. II (pp.104, € 10,00).
molto interessante
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