Per capire chi siano stati i Briganti che lottarono nell’Italia meridionale, negli anni 1860/70, un libro importante (quasi fondamentale) da leggere è I Briganti di Sua Maestà di Michele Topa. Non è facile trovarlo in vendita, lo si può reperire in qualche biblioteca.
Michele Topa è stato giornalista de Il Mattino, Corriere della Sera, Il Giornale di Montanelli. E’ autore anche del ponderoso volume Così finirono i Borbone di Napoli.
L’autore a proposito del titolo scrive che è un suggestivo ossimoro [accostamento di due termini contraddittori] che gli era stato suggerito da Dino Buzzati. I Briganti sono stati degli intrepidi guerriglieri del distrutto Regno delle Due Sicilie, che si battevano per liberare la loro terra invasa dai piemontesi e riportare sul trono il loro Re. In quei tempi grande era il feeling tra il popolo e i sovrani borbonici. Per i proletari delle campagne era tutt’uno lottare per il Re e la Nazione napoletana, e cercare il riscatto dal doloroso e avvilente loro stato di reietti della società. I Re borbonici erano sempre stati dalla parte dei più deboli e poveri, contro la classe avidissima della borghesia agraria.
I meridionali erano stati ingannati dalle mirabolanti promesse dei piemontesi e dei loro accoliti unitari: abolizione della tassa sul macinato, riduzione del prezzo del pane e del sale, soluzione degli annosi problemi demaniali. Quelle promesse si erano tradotte nell’esatto opposto. Un manipolo di padroni di terre angariavano le grandi masse rurali. Era naturale ribellarsi a quello stato di cose che venivano creandosi. I contadini erano ignoranti ma non minchioni. Il “voto unanime” nel plebiscito del 1860 per l’annessione al Piemonte era stato una truffa.
La fuorviante etichetta di brigantaggio, affibbiata ad un grande movimento popolare, cominciò ad essere usata, nella pubblicistica, dal corifeo asservito alla propaganda sabauda Marc Monnier.
Non potevano essere tutti briganti le migliaia e migliaia di uomini e donne, vecchi e giovani, persino ragazzi, che lottavano e davano la loro vita per un ideale e per riscattarsi dalla miseria. In quegli anni nel meridione si combatté una guerra civile, nella quale l’esercito piemontese e i loro accoliti unitari si macchiarono di feroci e sanguinari misfatti. Soltanto nei primi nove mesi del 1861 furono uccisi circa ventimila “briganti” e “favoreggiatori”. Non sapremo mai, a causa della censura allora imposta, quanti ne caddero di “briganti” in combattimento o dinanzi ai plotoni di esecuzione fino al 1870. Non è possibile che essi fossero tutti dei malfattori e delle sanguinarie canaglie.
Il libro narra, con linguaggio accattivante, di quei tragici fatti, iniziando dalla fuga da Gaeta di Francesco II e Maria Sofia, e terminando con la triste epopea dell’emigrazione, che vide gli sconfitti meridionali partire per terre lontane e sconosciute, dove li aspettavano altri patimenti ed altri sacrifici. Nelle pagine intermedie del libro si parla dei grandi condottieri partigiani/briganti: Carmine Crocco, José Borjès, Pasquale Domenico Romano, degli altri capi dei tantissimi altri gruppi che operavano nella guerriglia, si parla della famigerata e mostruosa “Legge Pica” che mise a ferro e fuoco tutto il mezzogiorno, si parla dei tanti paesi rasi al suolo per vendetta dall’esercito piemontese come Pontelandolfo e Casalduni, si parla della disagiata e triste vita quotidiana dei “briganti”, si parla di una guerra che purtroppo non poteva essere vinta, si parla di una sconfitta che fa sentire le sue tristi conseguenza ancora oggi. L’unità d’Italia doveva esser fatta, ma non in quel modo.
Michele Topa, I Briganti di Sua Maestà, Fratelli Fiorentino, Napoli 1993, pp. 365
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