Sabato 25 settembre 2010 - Ore 19,00
Sala Consiliare Comune di Villa Castelli (Brindisi) - Piazza Municipio
Nell'ambito dei “Sabati Briganteschi” (ultimo sabato di ogni mese), organizzati dall'Associazione “Settimana dei Briganti - l'altra storia”,
GIUSEPPE OSVALDO LUCERA, studioso del Brigantaggio e del Controrisorgimento, presenta il suo libro “Giuseppe Schiavone - Brigante post unitario", edito da Biondi Editore.
GIUSEPPE OSVALDO LUCERA è nato a Biccari (Foggia) il 19 novembre 1947. Diplomato nel 1969. Ha lavorato nelle industrie alimentari e nella sanità privata. Cultore di storia risorgimentale. Ha pubblicato un saggio in quattro volumi sul fenomeno del brigantaggio: “Vicende di un’altra storia” ed un romanzo in due parti: “I due manutengoli”, editi dalle Edizioni Simple di Macerata.
Il 17 marzo 1861, nel Parlamento di Torino, qualcuno sottoscrisse un contratto, una specie di rogito notarile. Un contratto di compravendita con il quale si acquisivano i destini di tutti i meridionali, le terre dell’intero Meridione, le ricchezze di un pluricentenario Regno, contro il versamento di un corrispettivo fatto di povertà, razzismo, lombrosiane teorie di cromosomiche aberrazioni, di geni modificati a causa dell’impervia natura, delle tante colline, del sole e del cattivo cibo; un corrispettivo fatto di guerra civile, di stragi, di genocidio, di carceri, di tribunali di guerra, di bagni penali d’orribile concezione, di celle dislocate al disotto del livello del mare; di intere famiglie inseguite, fucilate e smembrate, di bambine condannate a pene detentive per aver compiuto il famigerato reato di essere figlie di briganti, quindi, conviventi con essi e quindi fiancheggiatrici; di impensabili leggi dell’emergenza, di incendi e distruzioni d’interi paesi, di fucilazioni sommarie, di fucilazioni camuffate da impossibili tentativi di fughe e di … di… ma chi più ne ha più ne metta, tanto l’elenco è pressoché inesauribile per quanto poté quella genìa scesa dalle brume del nord.
Giuseppe Schiavone era nato a Sant'Agata di Puglia (FG) il 19 dicembre 1838. Agì tra il 1861 e il 1864, principalmente in Capitanata, collaborando anche con Michele Caruso e Carmine Crocco. Amò Filomena Pennacchio. Fu fucilato a Melfi dai piemontesi il 29 novembre 1864.
La presentazione del libro di Giuseppe Osvaldo Lucera “Giuseppe Schiavone” si inserisce anche nella sesta edizione della “Festa dei lettori”, che reca come slogan: «... e io leggo!» e che si celebra in tutta Italia sabato 25 settembre.
Rocco Biondi
Presidente Associazione “Settimana dei Briganti - l'altra storia”
21 settembre 2010
11 settembre 2010
Gramsci e i briganti
Ognuno è libero di inventarsi e difendersi la storia che vuole. Ma non può pretendere che tutti credano che quella sia la Storia vera. Men che mai poi è opportuno attribuirsi titoli culturali che non si hanno.
Maurizio Nocera, sul giornale online Spigolature Salentine, parlando (o meglio sparlando) del brigantaggio meridionale postunitario scrive: «Questo dato di fatto però non ci deve indurre a interpretare il fenomeno del brigantaggio come un evento progressivo, perché questo non corrisponde a verità storica», «I briganti oggettivamente combatterono una battaglia sotto un vessillo sbagliato che, in quel momento, rappresentava il peggio della reazione politica in Europa», «E la prima cosa che mi viene in mente è la pagina risorgimentale, quella cioè che portò all’Unità d’Italia, per me una delle pagine più belle del popolo italiano che, sotto la bandiera rossa di Giuseppe Garibaldi, riuscì a riscattare, sia pure in un primo momento solo a livello d’identità nazionale, le genti del Sud».
Ma non è di queste affermazioni, che pur meriterebbero tante puntualizzazioni, voglio parlare; al brigantaggio, infatti, anche gli storici di regime attribuiscono positiva valenza sociale e politica, anche se poi non ne traggano le dovute conclusioni, come pure ormai si parla diffusamente di controrisorgimento.
Voglio invece fissare l'attenzione sulla seguente altra affermazione di Nocera: «Spesso i borbonici, quando parlano o scrivono di brigantaggio, richiamano una frase che Antonio Gramsci avrebbe scritto sul suo settimanale torinese “L’Ordine Nuovo” del 1920. È strano che costoro che citano Gramsci non diano mai le giuste indicazioni bibliografiche». La frase, che Nocera addirittura si rifiuta di riprendere perché a suo dire ciò significherebbe ancora una volta falsificare la verità storica, è la seguente: «lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e a fuoco l'Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri che gli scrittori salariati tentarono infamare col marchio di “briganti”».
Da premettere che questa frase di Gramsci è citata non solo dai borbonici, ma da tutti quelli che si interessano di brigantaggio. Ed io che pure l'ho citata non sono borbonico. Ma veniamo alle giuste indicazioni bibliografiche.
La surriportata frase di Gramsci è tratta da un articolo intitolato “Il lanzo ubriaco”, pubblicato sull'edizione piemontese dell'“Avanti!”, anno XXIV, n. 42, 18 febbraio 1920 (editoriale). L'articolo è stato raccolto nel volume di Antonio Gramsci: L'Ordine nuovo 1919-1920, a cura di Valentino Gerratana e Antonio A. Santucci, Einaudi, Torino 1987, pp. 420-424 (la citazione si trova a pag. 422). Gerratana e Santucci hanno inserito l'articolo (non firmato) in un libro di Gramsci accettandone l'attribuzione fatta a Gramsci da Platone-Togliatti nella prima edizione in volume degli articoli gramsciani de “L'Ordine Nuovo”, 1919-1920, Einaudi, Torino 1954, pp. 84-88 (la citazione è a pag. 86). Sono stati i curatori, sia dell'una che dell'altra edizione, che hanno deciso di raccogliere nel volume de “L'Ordine Nuovo” anche gli articoli che Gramsci, nello stesso periodo, pubblicava in qualità di redattore sull'edizione piemontese dell'“Avanti!”. E' questo il motivo per cui la frase viene correntemente citata come scritta da Gramsci nel settimanale “L'Ordine Nuovo” del 1920.
Ovviamente io mi fido più di Platone, di Togliatti, di Gerratana, di Santucci, che attribuiscono concordemente la frase a Gramsci, che non di Nocera che nega tale attribuzione. Nocera scrive di conoscere bene gli scritti di Gramsci su L'Ordine Nuovo e sostiene che Gramsci vi abbia scritto solo due editoriali. Anche qui mi fido degli esimi scrittori specialisti su Gramsci quando gli attribuiscono, sempre nel volume su L'Ordine Nuovo, ben 500 (cinquecento) pagine di scritti per un totale di 136 (centotrentasei) articoli.
Un'altra smentita merita Nocera a proposito della seguente sua affermazione, sempre sulla frase di Gramsci: «E poi, vi sembra possibile l’esistenza di tali affermazioni sul brigantaggio di Gramsci e storici come Franco Molfese o Aldo De Jaco o Giuseppe Calasso che non ne conoscessero l’esistenza?». Orbene, Aldo De Jaco nel suo libro “Il Brigantaggio Meridionale” (Editori Riuniti), a pag. 14, premettendo “– come scrisse Gramsci nel '20 –” cita tra virgolette la frase di cui stiamo discorrendo.
Nocera, ancora nei suoi articoli, si ripicca contro Valentino Romano, che a suo dire lo avrebbe accusato di essere uno storico unitario “cariatide di regime e salariato”. Ma qui deve essere Valentino Romano a dire la sua.
Infine credo che sarebbe cosa auspicabile approfondire ed esporre sistematicamente la posizione che Antonio Gramsci ebbe nei confronti del brigantaggio meridionale. Per noi meridionali e “briganti” potrebbero venir fuori piacevoli e positive sorprese.
Rocco Biondi
Maurizio Nocera, sul giornale online Spigolature Salentine, parlando (o meglio sparlando) del brigantaggio meridionale postunitario scrive: «Questo dato di fatto però non ci deve indurre a interpretare il fenomeno del brigantaggio come un evento progressivo, perché questo non corrisponde a verità storica», «I briganti oggettivamente combatterono una battaglia sotto un vessillo sbagliato che, in quel momento, rappresentava il peggio della reazione politica in Europa», «E la prima cosa che mi viene in mente è la pagina risorgimentale, quella cioè che portò all’Unità d’Italia, per me una delle pagine più belle del popolo italiano che, sotto la bandiera rossa di Giuseppe Garibaldi, riuscì a riscattare, sia pure in un primo momento solo a livello d’identità nazionale, le genti del Sud».
Ma non è di queste affermazioni, che pur meriterebbero tante puntualizzazioni, voglio parlare; al brigantaggio, infatti, anche gli storici di regime attribuiscono positiva valenza sociale e politica, anche se poi non ne traggano le dovute conclusioni, come pure ormai si parla diffusamente di controrisorgimento.
Voglio invece fissare l'attenzione sulla seguente altra affermazione di Nocera: «Spesso i borbonici, quando parlano o scrivono di brigantaggio, richiamano una frase che Antonio Gramsci avrebbe scritto sul suo settimanale torinese “L’Ordine Nuovo” del 1920. È strano che costoro che citano Gramsci non diano mai le giuste indicazioni bibliografiche». La frase, che Nocera addirittura si rifiuta di riprendere perché a suo dire ciò significherebbe ancora una volta falsificare la verità storica, è la seguente: «lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e a fuoco l'Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri che gli scrittori salariati tentarono infamare col marchio di “briganti”».
Da premettere che questa frase di Gramsci è citata non solo dai borbonici, ma da tutti quelli che si interessano di brigantaggio. Ed io che pure l'ho citata non sono borbonico. Ma veniamo alle giuste indicazioni bibliografiche.
La surriportata frase di Gramsci è tratta da un articolo intitolato “Il lanzo ubriaco”, pubblicato sull'edizione piemontese dell'“Avanti!”, anno XXIV, n. 42, 18 febbraio 1920 (editoriale). L'articolo è stato raccolto nel volume di Antonio Gramsci: L'Ordine nuovo 1919-1920, a cura di Valentino Gerratana e Antonio A. Santucci, Einaudi, Torino 1987, pp. 420-424 (la citazione si trova a pag. 422). Gerratana e Santucci hanno inserito l'articolo (non firmato) in un libro di Gramsci accettandone l'attribuzione fatta a Gramsci da Platone-Togliatti nella prima edizione in volume degli articoli gramsciani de “L'Ordine Nuovo”, 1919-1920, Einaudi, Torino 1954, pp. 84-88 (la citazione è a pag. 86). Sono stati i curatori, sia dell'una che dell'altra edizione, che hanno deciso di raccogliere nel volume de “L'Ordine Nuovo” anche gli articoli che Gramsci, nello stesso periodo, pubblicava in qualità di redattore sull'edizione piemontese dell'“Avanti!”. E' questo il motivo per cui la frase viene correntemente citata come scritta da Gramsci nel settimanale “L'Ordine Nuovo” del 1920.
Ovviamente io mi fido più di Platone, di Togliatti, di Gerratana, di Santucci, che attribuiscono concordemente la frase a Gramsci, che non di Nocera che nega tale attribuzione. Nocera scrive di conoscere bene gli scritti di Gramsci su L'Ordine Nuovo e sostiene che Gramsci vi abbia scritto solo due editoriali. Anche qui mi fido degli esimi scrittori specialisti su Gramsci quando gli attribuiscono, sempre nel volume su L'Ordine Nuovo, ben 500 (cinquecento) pagine di scritti per un totale di 136 (centotrentasei) articoli.
Un'altra smentita merita Nocera a proposito della seguente sua affermazione, sempre sulla frase di Gramsci: «E poi, vi sembra possibile l’esistenza di tali affermazioni sul brigantaggio di Gramsci e storici come Franco Molfese o Aldo De Jaco o Giuseppe Calasso che non ne conoscessero l’esistenza?». Orbene, Aldo De Jaco nel suo libro “Il Brigantaggio Meridionale” (Editori Riuniti), a pag. 14, premettendo “– come scrisse Gramsci nel '20 –” cita tra virgolette la frase di cui stiamo discorrendo.
Nocera, ancora nei suoi articoli, si ripicca contro Valentino Romano, che a suo dire lo avrebbe accusato di essere uno storico unitario “cariatide di regime e salariato”. Ma qui deve essere Valentino Romano a dire la sua.
Infine credo che sarebbe cosa auspicabile approfondire ed esporre sistematicamente la posizione che Antonio Gramsci ebbe nei confronti del brigantaggio meridionale. Per noi meridionali e “briganti” potrebbero venir fuori piacevoli e positive sorprese.
Rocco Biondi