5 gennaio 2014

Briganti contro l’Italia, di Luciano Priori Friggi



Già dal titolo si intuisce la tesi del libro: i Briganti post-unitari hanno combattuto contro l’unità d’Italia. Ma questa affermazione può essere accettata sia dagli unitaristi che dagli antiunitaristi; acquista significato a seconda del campo in cui si milita. L’autore del libro è un unitarista e quindi il brigantaggio diventa un fenomeno sostanzialmente negativo. Per Friggi i revisionisti detrattori del Risorgimento, rivalutando il Brigantaggio meridionale, rivendicano maggiore autonomia per il Sud, quando non addirittura la separazione territoriale.
     La polemica sulla natura e sulle cause del brigantaggio post-unitario scoppiò con la nascita stessa del fenomeno e fu molto vivace nel primo decennio dell’unità. Successivamente l’animosità lasciò il posto, nei due campi, a più pacate indagini e discussioni, con conseguenti proposte per tentare di risolvere nel migliore dei modi i problemi del meridione.
     Solo nella seconda metà del Novecento – scrive Friggi – gli studi sul brigantaggio tornano di moda, arricchendosi di contributi che diverranno determinanti per la ripresa delle polemiche tra unitari e antiunitari. A riaccendere la miccia furono gli studi di Franco Molfese e di Renzo Del Carria; ma mentre il libro del primo è tutto incentrato sul brigantaggio, quello del secondo affronta la questione all’interno di una più ampia ricostruzione delle lotte proletarie. Anche se i due autori, entrambi d’impostazione marxista, hanno avuto un’influenza decisiva sulla formazione della generazione successiva, è stato solo nell’ultimo decennio che gli studi sulla questione del brigantaggio hanno avuto un’impennata, soprattutto ad opera degli studiosi più critici verso il processo unitario.
     E secondo Friggi, negli studi sul brigantaggio, alla vecchia impostazione sociale marxista si è sostituita quella clericale, nostalgica del regime borbonico. Ritengo però che questa sia una visione parziale e strumentale, che non rende merito ai tantissimi studiosi laici che continuano a privilegiare la componente sociale del brigantaggio senza alcuna nostalgia di un ritorno ai Borbone.
     Il libro di Friggi si compone di due parti: la prima, di carattere storico, tratteggia alcune figure significative del brigantaggio e parla di alcuni luoghi simbolo, la seconda, di carattere attuale, tenta di rispondere alla domanda su a chi giovi oggi recuperare il brigantaggio.
     Luciano Priori Friggi in questo suo libro riprende e fa proprie le tesi filopiemontesi del come e perché si sia arrivati all’unità d’Italia e del ruolo svolto dai briganti durante i primi anni unitari. Viene attaccato l’odierno revisionismo antirisorgimentale, che lui ritiene essere prevalentemente cattolico e filoborbonico, operando però in questo modo una grande semplificazione dei molti e variegati studi che si vanno facendo in questi ultimi anni. Sostanzialmente quindi non vi è nulla di nuovo nelle sue tesi.
     Riporto di seguito alcuni suoi pensieri. Il Regno borbonico delle Due Sicilie costituirebbe un grande ostacolo allo sviluppo dell’Italia una e quindi andava soppresso. Carmine Crocco era uno strumento in mano alla reazione borbonica e cattolica, a capo di una masnada brigantesca dedita al ladroneggio e a delitti efferati. Il piemontese generale Cialdini, quasi un salvatore, punta a restaurare nel napoletano l’ordine e a farlo rispettare. Pontelandolfo e Casalduni vengono giustamente puniti con la distruzione per essersi ribellati ai piemontesi; i morti bruciati furono una diecina e non migliaia. Borges è un generale spagnolo a cui i Comitati reazionari borbonici vogliono affidare la direzione della cospirazione, sottraendola al capo-brigante Crocco.
     Nella seconda parte del libro Friggi tenta di smontare le critiche contro i filopiemontesi. Per lui Lombroso è un celebre studioso e aggiunge: “E non si chiede solo la restituzione dei resti del Vilella, e la sua ‘degna sepoltura’, ma addirittura la chiusura del museo torinese, definito museo degli orrori”. Vengono attaccati i Gesuiti ed Angela Pellicciari, che hanno osato definire i briganti patrioti e i garibaldini delinquenti. Viene esaltato il filopiemontese ed unitarista Marc Monnier, che avrebbe fatto uno studio scientifico del brigantaggio (in realtà diciamo noi funzionale ai vincitori). Per Friggi sarebbero falsi i primati che vengono vantati dai sostenitori del Regno delle Due Sicilie; Pietrarsa, Mongiana, San Leucio sarebbero cattedrali nel deserto e per lo più in mano a stranieri.
     Vengono denigrati Pino Aprile, Antonio Ciano, Nicola Zitara, Lorenzo Del Boca, Antonio Pagano, Lino Patruno, Francesco Mario Agnoli; tutti revisionisti e antipiemontesi. Con una certa sorpresa anch’io (Rocco Biondi) vengo incluso in questa lista, anzi sarei (come Agnoli) doppiamente revisionista, in quanto in contrasto sia con la storiografia di ispirazione liberale, che con i resoconti e le valutazioni dei legittimisti più accreditati (Borges ma letto dalla parte filopiemontese).
     Di fronte a questa impressionante offensiva revisionista – scrive Friggi – qualche risposta dall’ambito accademico comincia ad arrivare; ma è in grado di citare solo Alessandro Barbero. Ovviamente lui Friggi è da includere su questo fronte.
     Il libro contiene nella parte finale la sintesi di tutto il pensiero di Friggi: i briganti strumentalizzati nel decennio post-unitario, lo sono ancora oggi. E il fenomeno è tutt’altro che residuale. Un numero molto grande di persone si onora di appellarsi brigante. “Ma, alla fin fine, che senso ha insistere tanto ai giorni nostri – si chiede Friggi – sul recupero del brigantaggio, sul sud e sui Borbone, vittime della rapacità del nord?”. L’obiettivo, secondo lui, sarebbe quello di far staccare il Sud dal resto dell’Italia, per riaffidarlo ai Borbone. E’ facile però controbattere che quelli che aspirano a questo sono una piccolissima parte del grande movimento meridionale.

Luciano Priori Friggi, Briganti contro l’Italia. Brigantaggio post-unitario: Mito, Leggenda o Storia? E, oggi, a chi giova recuperarlo?, Microinet Editore, 2a edizione, 2013, pp. 263, € 16,90

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